Una superficie che sembra muoversi senza vita: ogni primavera marziana le dune si trasformano. Blocchi che assomigliano a massi bianchi si staccano, scivolano lungo i pendii e lasciano sul terreno solchi lunghi e sinuosi. Il paesaggio appare inciso da trincee che ricordano i “vermi di sabbia” della fantascienza, ma la spiegazione non è biologica. Per anni gli osservatori hanno annotato questi segni sulle creste, canali stretti con piccoli rilievi ai bordi come fosse stato scavato qualcosa sotto la sabbia. In un pianeta dove la temperatura può scendere fino a –125 °C e non esistono fiumi stabili, il fenomeno ha attirato attenzione e dibattito.
Come il ghiaccio secco scava le dune
I ricercatori spiegano che dietro a queste incisioni c’è un processo fisico che coinvolge il ghiaccio secco, cioè il ghiaccio formato da anidride carbonica. Nel corso della stagione fredda, la CO2 si deposita come uno strato compatto sulle cime delle dune. Quando la radiazione solare ritorna, la base del blocco di CO2 inizia a trasformarsi direttamente in gas: una sublimazione che crea una pellicola gassosa tra il blocco e il suolo. Quella sottilissima camera d’aria riduce l’attrito e permette al blocco di muoversi, spesso con un effetto di salto o scivolamento che scava il canale nel materiale sabbioso.
Gli esperimenti in laboratorio e le osservazioni orbitali mostrano che il movimento non è casuale: i blocchi seguono pendii e curvature già presenti, allargando e modellando i bordi dei solchi. Un dettaglio che molti sottovalutano è la combinazione fra la granulometria della sabbia e la pressione del gas sotto il blocco: insieme determinano se il solco sarà profondo o superficiale. Questo meccanismo spiega perché le incisioni appaiono in stagioni ben definite e perché si riempiono di piccoli rilievi laterali simili a cumuli pressati dalla corsa del blocco.
Cosa significa per la ricerca su Marte
La scoperta di un meccanismo puramente fisico aiuta a chiarire molte osservazioni che un tempo erano considerate misteriose. Lo studio condotto dall’Università di Utrecht offre una spiegazione coerente con immagini satellitari e test di laboratorio: non servono processi liquidi né organismi per giustificare quei segni. Per i geologi planetari è importante distinguere tra incisioni nate da fenomeni di CO2 e altre strutture che potrebbero indicare acqua salata temporanea, come le cosiddette RSL. La capacità di riconoscere le tracce del ghiaccio secco riduce il rischio di interpretazioni errate nelle mappe geologiche di Marte.
Dal punto di vista operativo, comprendere questi processi aiuta anche nella progettazione delle future missioni di superficie: i rover che studieranno le dune dovranno considerare superfici instabili dove blocchi di CO2 possono spostarsi. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è che su Marte le stagioni determinano movimenti del suolo molto diversi da quelli terrestri, e il risultato è un paesaggio in continuo rimaneggiamento. La spiegazione fisica non rende lo spettacolo meno suggestivo: rimane l’immagine di un pianeta che si rimodella da solo, dove il contatto fra gas, ghiaccio e sedimento disegna tracce che raccontano la dinamica di un mondo freddo ma attivo.